Trama. Matteo (Alessandro Tiberi) e Valentina (Monica Comegna) sono due fratelli logorroici e appiccicosi che hanno perso la madre e vivono col padre. Stefano (Jesus Emiliano Coltorti) è un ragazzo apparentemente di buona famiglia che fa a pezzi le donne con la motosega nella vasca da bagno. Valentina conosce Stefano e Matteo non approva. Lei allora non ci sta e insieme i due fratelli scappano in montagna. Stefano li segue. Epilogo tragico. Secondo le intenzioni del regista, il film «si propone di analizzare le dinamiche che regolano la vita di una famiglia borghese attraverso la descrizione di una vicenda di incesto, in particolare mostrando il malessere esistenziale che la pervade e analizzando i rapporti tra i giovani in una società dominata dall’ossessione per l’effimero». Ipse dixit. Ipse è Matteo Petrucci, ventottenne con trascorsi da critico cinematografico appassionato di cinema orientale che ogni tanto ciancia su Freud e qui al suo esordio sul grande schermo. Ora, film come Ascolta la canzone del vento (titolo poeticissimo che col film c’entra come i cavoli a merenda, ecco perché la necessità di un sottotitolo) pongono alcune inquietanti questioni.
Primo, ci domandiamo quale percorso logico abbia seguito il regista per scrivere la sceneggiatura-fazzoletto di questo thriller che è a tutti gli effetti il clone super-povero di American Psyco. Secondo: probabilmente il giovane Petrucci tra gli amati cinefili scaffali di casa sua non possiede neanche uno di quei sani thrillerazzi biechi degli anni ’70. Terzo, il film è fatto più o meno così: telecamera fissa (al massimo si muove nelle quattro direzioni), personaggi che si scambiano ridicole battute a turno con la stessa enfasi che ci mettono gli allievi di Maria de Filippi, sequenza sfumata, nuova scena con location diversa: davvero è possibile che un ex critico non conosca l’abc di come si gira un film? Forse siamo noi a pretendere troppo, per carità; magari Petrucci è l’inconsapevole portabandiera di una nuova corrente cinematografica che nella “vuotezza filmica e narrativa” intravede una rigorosa asciuttezza sociologica e semiotica. Quello che pare francamente è l’idea trita e ritrita di un giallino morbosetto e telefonatissimo di quart’ordine che doveva durare al massimo cinque minuti e invece dura due incredibili ore, fulgido ed ennesimo esempio di debutto inutile, fastidioso e presuntuoso di uno fra i tanti giovani film-makers che affollano il colorito sottobosco pre-produttivo. Film come Twisted la nuova legge Urbani li stroncherebbe con una risata sul nascere. Forse non è una legge tanto ingiusta.
di Francesco De Belvis