Presentata in concorso a Venezia 60, arriva ora nelle sale (fortunatamente in versione originale sottotitolata) l’ultima fatica di Manoel de Oliveira, instancabile cineasta portoghese che, a novantacinque anni, dimostra una lucidità intellettuale ancora lungi dal trovare riposo: questo Filme Falado è un interessante apologo sul valore della storia, sull’importanza delle radici della civiltà moderna e, sopratutto, sulle differenze tra i popoli come motivo di ricchezza culturale. Il pretesto narrativo, una professoressa di storia in crociera con la piccola figlia per raggiungere il marito a Bombay, diviene spunto per mostrarci e raccontarci – attraverso il suo passaggio nei luoghi dove si annida il cuore della civiltà (Marsiglia, Napoli e le rovine di Pompei, Atene, Istanbul e Il Cairo) – il senso di un passato che, attualmente, è sempre più a rischio di dimenticanza: la volontà di Rosa Maria è quella di visitare finalmente quei magici luoghi di cui ha tanto studiato e che ora tramanda ai suoi allievi e, di città in città, di monumento in monumento, racconta alla piccola Maria Joana le vicende e le leggende che ne contraddistinguono l’esistenza. In ogni nuova località è la varietà dei linguaggi (quello degli indigeni e quelli dei turisti) a richiamare l’attenzione. Un “film parlato”, dunque, perché è proprio nella parola che il mondo di oggi deve trovare – come un tempo – le possibilità di una conoscenza e di un rispetto interculturale. Cosa che dalla pellicola traspare con maggior forza – forse in maniera un po’ viziata e didascalica – nel momento in cui le tre donne (l’imprenditrice francese, l’ex modella italiana e l’attrice/cantante greca), ovvero Catherine Deneuve, Stefania Sandrelli e Irene Papas, conversano ognuna nella propria lingua al tavolo del comandante della nave (americano d’origine polacca), ovvero John Malkovich. In un mondo che è sempre più portato ad un’omologazione sciatta e pericolosa, dunque, i quattro personaggi dimostrano, quasi stupendosi, di riuscire a comprendersi parlando ciascuno una lingua diversa, trasmettendosi vicendevolmente convinzioni o sensazioni. «Sin dai primordi ogni lingua rappresentava un contributo all’evoluzione della civiltà occidentale», sostiene il regista che, nel finale del film, sceglie un commiato quanto mai attuale e doloroso: la nave esploderà in seguito ad un attentato terroristico. Si salveranno tutti, tranne due persone: la piccola Maria Joana – costretta a tornare in cabina per riprendere la bambolina musulmana regalatale dal comandante (chiara metafora del discorso sulle cause della guerra fattole in precedenza dalla madre) – e naturalmente Rosa Maria, unica donna che – parlando portoghese – non era in grado di farsi comprendere a quel tavolo.
di Valerio Sammarco