Molto sinteticamente si potrebbe considerare l’ultima fatica di Daniele Thompson come uno spettacolo gradevole e godibile. Un giudizio, o meglio una considerazione che non nasconde in sé alcuna volontà di minimizzare o sminuire il valore di un lavoro, ma anzi nasce dalla piacevole sensazione provata nei confronti di una commedia che porta in sé tutte le caratteristiche vincenti del genere stesso. Trovarsi di fronte ad una storia capace non solamente di divertire ma di sollevare gli animi grazie all’unione della malinconia e dell’ironia, donando al quotidiano un pizzico di incomprensibile ed irrazionale magia è cosa insolita. Eppure Daniele Thompson, facendo leva sulla sua grande esperienza (da più di vent’anni lavora come sceneggiatrice), ha costruito questo piccolo gioiello confidando proprio nella normalità della vita e dei piccoli particolari che la compongono. Nonostante tutto si concentri sulle insoddisfazioni e le isterie dei cosiddetti privilegiati, il risultato globale che si ottiene è quello di una vorticosa ma armoniosa girandola di personaggi capaci di suscitare un’immediata empatia con il pubblico. Claude Brasseur, Valerie Lemercier, Christopher Thompson sono la miglior scelta interpretativa che la Thompson potesse ottenere per rappresentare i mille, complessi e perfino esilaranti, rapporti con l’arte.
Se poi a mediare la follia e l’irrazionale giunge la dolcezza e la freschezza di una Cecile De France, depositaria del naturale coraggio di chi non ha ancora nulla da perdere, si può dire che la scintilla sia definitivamente scoccata. Ma andando oltre un cast esilarante e perfettamente concatenato l’un con l’altro, Daniele Thompson ha goduto di un altro protagonista assoluto, a cui è stato affidato il compito di imprimere l’atmosfera, il sapore stesso della vicenda. Parigi svetta nei suoi luoghi culto, nelle sue immagini più note, chiamate in questo caso non ad una pura iconografia turistica, ma ad una precisa identificazione. Dall’Avenue Montaigne, all’Hotel Plaza, fino ai bistrot e ai teatri si delinea l’abbagliante e nevrotico quartiere della Ville Lumiere, capace da solo di rappresentare uno dei profili più affascinanti di una città indimenticabile. Un luogo che rivive nel suo passato artistico, nelle melodie di Edith Piaf, di Yves Montaigne e Juliette Greco, in un sottofondo musicale che unisce in sé grandiosità e futuro di cui la Thompson si è impadronita per imprimere nuova enfasi alla sua favola metropolitana.
di Tiziana Morganti