Consideriamo che è difficile raccontare la malattia senza peccare di spettacolarismo o banalità. Consideriamo anche che per la televisione il tema non è più tabù, visto il successo che riscuotono i camici bianchi tra stetoscopi e passioni in corsia. Dunque chi sentiva il bisogno dell’ennesima storia da ospedale? Nessuno, ma almeno il contenuto di questa vicenda è altamente digeribile. Funziona bene Fabio Volo, al secolo Fabio Bonetti. Uno che non si priva di niente, dalla televisione alla radio, fino ai luoghi sacri della letteratura. Con un paradosso: pur essendo “senza infamia e senza lode” piace molto. Non scimmiotta Totò, non si atteggia alla Tom Cruise né scopiazza Tolstoj. Piace perché è un artista senza pretese di genialità. Come in questo film, in cui è il protagonista di una trama trita e ritrita: il dramma dell’eroe moderno indifferente al senso della vita (‘rattenuto’, rattrappito e trattenuto, per usare il neologismo del regista Cappuccio). Lo scopre solo duellando con la morte e nel mentre rivaluta i concetti di amore, amicizia e lavoro, e riesce a trovare il tempo di essere altruista. Un bel deja vù, ma Volo riesce a non farlo pesare. Quando ride, piange, gigioneggia, quando è in abito scuro, in pigiama, in mutande: fa tutto senza forzare i toni. Come un personaggio pirandelliano in cerca d’autore, lui esiste prima della storia. Anche perché “Uno su due” usa diversi riferimenti alla vita reale di Volo e alle sue passioni, come quella per il minestrone (che il protagonista sceglie come portata principale di una cena tra colleghi). Molto azzeccati anche i ruoli di Anita Caprioli, la compagna virtuosa e fedele, e Ninetto Davoli, il cattivo che vuole redimersi ma anche il compagno della discesa negli inferi. Pregevole Paola Rota, che interpreta la sorella del protagonista, abile a denunciare, con il solo sguardo, mortificazioni e affetti taciuti. Il risultato è gradevole, anche grazie ad alcuni artifici di regia che rendono bene le impressioni soggettive: immagini deformate da un capogiro, complotti, attacchi d’ansia. Originale la scena finale, quella della vittoria/riconciliazione con il mondo: il dottore dentone e aguzzino annuncia il pericolo scampato, ma le sue parole vengono coperte dal rumore di un aereo in decollo. A seguire, un tripudio amoroso in piscina, sempre con il rombo del velivolo per colonna sonora. Forse Uno su due non racconta nulla di originale, forse venti minuti di girato sui cento complessivi si potrebbero tranquillamente tagliare, ma almeno rinuncia a velleità e verità universali. Con il vantaggio che nessuno potrà sentirsi preso in giro…
di Annapaola Paparo