Dall’Armenia una fiaba dolce amara sul senso assurdo della vita messo in scena da due personaggi infelici, poveri, liberi ma avvinghiati alle catene della speranza, in un luogo dove l’identità si è persa nelle lacrime spese per le persone care, le quali assistono impietose dal basso delle lapidi ricoperte da strati abbondanti di neve. Il ricordo di un’esistenza trascorsa alla ricerca di ideali, al servizio della grande madre Russia sotto i gradi di generale della gloriosa armata, e nella nostalgia di una vedova abbandonata forse nel momento più difficile per il paese dopo la liberazione dalla dittatura. Vodka Lemon è una pellicola affascinante poiché descrive il dolore e la tristezza attraverso l’ironia e il paradosso: allora vediamo un vecchio, talmente acciaccato da non poter scendere dal letto, che a costo di partecipare al funerale di un suo amico si lascia trainare con un cavo appeso ad un furgone, o un uomo e una donna con le mani poggiate sui tasti bianchi e neri di un pianoforte allontanarsi dalla strada e dal campo visivo a bordo della dolce bara musicale, lasciando spazio ai titoli di coda. Hamo e Nina sono due esseri lontani eppure vicini: pregano ogni giorno davanti all’immagine di defunti, gestiscono rapporti difficili con i figli, lui attende come tutto il villaggio, denaro dal figlio che abita a Parigi, e lei quasi non bada alla difficile situazione familiare in casa propria. Gli ambienti sono scarni, aridi, tutto è candido e marcio allo stesso tempo: la casa è un ammasso di mobili e oggetti inutili, da disfarsene se non si ha nemmeno la possibilità di portare in tavola un piatto caldo. Come un miraggio viene mostrato il chiosco di bevande in cui lavora Nina, per dare la possibilità a questi poveri cristi di ubriacarsi di illusioni e probabilmente di sogni, senza avere il tempo di riacquistare lucidità e prontezza e affrontare la dura realtà. Le azioni e i movimenti sono perennemente congelati dalla temperatura rigidissima e tutto si ferma, anche il tempo: bellissime le scene in cui c’è attesa, quasi a voler contemplare il mondo infinitamente beckettiano di esseri delusi che attendono alla finestra la venuta dell’alba di un nuovo giorno. Questa è forse l’unica risposta del film: la vita come commedia, immenso show che quotidianamente ci mette delle maschere le quali una volta calate esprimono il senso fragile e indifeso dell’individuo a contatto con se stesso, passando dai tortuosi sentieri della tragedia al fine e terapeutico sfogo del sorriso.
di Ilario Pieri