“John Holmes, una vita per il cinema” recita un celebre verso di Elio e le Storie Tese omaggiando proprio il re del porno, l’uomo grazie al quale le dimensioni hanno iniziato a contare qualcosa. Ma la vita di John Holmes non è stata come molti la hanno immaginata. Negli anni ’70 come oggi, Hollywood fa prestissimo a sfornare le sue star, a portarle sul podio, ma fa altrettanto presto a dimenticarle, a gettarle nel fango, a farle star peggio di prima che iniziassero. Nel 1981 John Holmes aveva smesso già da due anni di girare film. “Johnny Wadd” non esisteva più: a causa della droga Holmes aveva sperperato tutti i guadagni ricavati da circa duemila film pornografici, tanto da arrivare a ‘pagare’ i suoi creditori con prestazioni sessuali da parte della sua ragazza adolescente. Nello stesso anno, in Wonderland Avenue, avviene una serie di efferati delitti che sconvolsero la comunità di Hollywood, pure abituata a regolamenti di conti di ogni genere. James Cox e altri tre sceneggiatori hanno voluto ricostruire i fatti: grazie a loro è stata fatta luce su un caso che era rimasto ancora insoluto, per più di vent’anni.
Oltre al merito dello sforzo nella ricerca in fase di pre-sceneggiatura, la pellicola ha scarsi meriti. Holmes non è il protagonista assoluto della vicenda: il delitto lo è, raccontato da diversi punti di vista sempre più distorti, dato che vengono raccontati e ricostruiti da menti deviate da alcol, eroina, cocaina e qualunque cosa distrugga le cellule cerebrali. Ad aiutare gli sceneggiatori, e a rilasciare dichiarazioni sconvolgenti mai venute a galla prima, sono state proprio le due donne di John: sua moglie Sharon e Dawn Shiller, la fidanzata che lo lasciò un paio di anni dopo i fatti raccontati nella pellicola. Sharon e Dawn hanno anche aiutato le due ottime attrici (rispettivamente Lisa Kudrow e Kate Bosworth) a calarsi nei ruoli. Ma non è una ricostruzione della vita del divo del porno che ci interessa, a quella ha già pensato ottimamente Paul Thomas Anderson nel suo eccezionale Boogie Nights. Questo film ha più la forma del giallo/thriller, della matassa da sbrogliare, un omicidio plurimo e il bravo detective che indaga sul caso e poi tante, proprio tante schifezze che vengono a galla.
La presenza di Holmes, nell’economia della narrazione, sembra essere assolutamente incidentale, per poi stravolgersi completamente e diventare lui il burattinaio. I gravissimi problemi di montaggio però rendono il film estremamente lento, troppo parlato e terribilmente stereotipato, tanto che a un certo punto si rischia di andare in overdose di parole come “baby”, “roba fichissima”, “sballo”, ecc. L’uso eccessivo della camera a mano, la musica, le battute urlate, le stanze fumose hanno forse lo scopo di rendere più allo spettatore l’idea di come si doveva sentire il protagonista, perennemente strafatto e ubriaco, in preda al panico e alla rabbia, nonché accecato dalla follia che orami lo aveva pervaso. Il risultato però è ben altro: come a un veleno somministrato a piccole dose, si finisce con l’abituarsi e, dopo pochi minuti, il tutto diventa alquanto noioso, fino a culminare nella cruenta e violentissima scena dell’omicidio, urlata fino all’eccesso, rossa di sangue e di luci disposte per accentuarlo, allucinata e distorta. Una pellicola che rasenta il “docufiction”, che racconta come un TG d’approfondimento, ma che non ci fa affezionare a nessuno dei personaggi, archetipici malviventi con bandane intrise di sudore, o donne che cercano solo l’amore di un uomo che di donne, però, ne ha amate 14.000.
di Federica Aliano