Il 10 gennaio Stories compie tre anni e li festeggia con un episodio speciale: l’intervista di Mario Calabresi a Cecilia Sala, che racconta i venti giorni trascorsi nel carcere di Evin a Teheran
In questi tre anni e più di 690 episodi Cecilia Sala ha raccontato storie da tutto il mondo. Dall’Ucraina agli Stati Uniti, Sud Sudan, Israele, Georgia, Australia, Afghanistan, è diventata a tutti gli effetti la prima inviata podcaster. Con il suo lavoro ha fatto conoscere piccole e grandi storie che aiutano a comprendere quello che succede lontano dall’Italia. Nell’intervista racconta il momento dell’arresto in hotel, l’arrivo in carcere, la solitudine della vita in cella, la paura e la speranza della liberazione, arrivata a sorpresa mercoledì 8 gennaio. La puntata, dal titolo I miei giorni a Evin, tra interrogatori e isolamento, è disponibile gratuitamente sui podcast e sul sito di Chora Media.
Qui di seguito alcuni estratti della puntata
MARIO CALABRESI – Bentornata Cecilia! Partiamo dalla domanda più banale come stai?
CECILIA SALA – Confusa, felicissima e mi devo riabituare e devo riposare. Questa notte non ho dormito, diciamo per l’eccitazione, per la gioia, quella precedente, per l’angoscia. E sto bene, Sto bene, sono molto contenta.
MC – Sono state tre settimane lunghissime. E come è iniziata questa storia?
CS – È difficile dirlo. A me non è stato spiegato perché io sia finita nella condizione in una cella di isolamento nel carcere di Evin quando ci sono entrata. L’Iran era il Paese dove più volevo tornare dove c’erano le persone a cui più mi sono affezionata. […] Qualche volta delle persone che intervisti che incontri […] diventano amici, diventano persone di cui hai bisogno e di sapere come stanno. E in Iran questo mi era successo più che in qualsiasi altro posto. Ci tenevo a tornare da loro. È molto difficile ottenere un visto per l’Iran. Ero molto felice di averlo ottenuto prima di questa partenza e quindi questo viaggio comincia per incontrarli e per dare loro voce.
MC – Qual è stata la cosa più difficile?
CS – È stato proprio il silenzio. L’isolamento è la tua testa. A un certo punto mi sono ritrovata, per passare il tempo, a contare i giorni, le dita, a leggere gli ingredienti del pane che erano l’unica cosa in inglese. E io non ho mai pensato, ho fatto diciamo previsioni più positive e più negative, anche molto negative, su quale sarebbe potuto essere il mio destino lì dentro, ma non ho mai pensato che sarei stata liberata così presto. Quando non hai nulla da fare non ti stanchi, quindi non hai sonno, quindi non dormi. Già lì dentro un’ora, sembra una settimana; see non dormi e devi riempirne 24 di ore è più faticoso e la cosa che più volevo era un libro. Era la storia di un altro, qualcosa che mi portasse fuori, un’altra storia in cui mi potessi immergere e che non fosse la mia in quel momento, perché non riuscivo ad avere tanti pensieri positivi rispetto alle mie prospettive.
MC – Hai chiesto dei libri, questo è quello che è arrivato a noi che tu hai detto ai tuoi genitori nella più drammatica delle telefonate, quella con tua madre del 1° gennaio. Erano queste cose che hanno fatto scalpore, perché nessuno si aspettava che fosse quello il trattamento, cioè che tu dormivi per terra, che non avevi un letto, neppure un materasso, ma dormivi per terra su una coperta. Che ti avevano tolto gli occhiali, che non avevi libri, che non ti era arrivato nessun pacco di tutto quello che noi immaginavamo che ti doveva arrivare. Noi a Capodanno avevamo pensato che tu avessi avuto un panettone, dei dolci, dei libri. E invece tutto questo non era successo. E quello è stato drammatico e sconvolgente. Ecco, come passavano quelle ore? Tu vedevi dei volti, delle persone? Qual era il tuo rapporto lì dentro?
CS – Ovviamente c’è un’indagine in corso, ci sono tante cose che non posso dire in questo momento, anche per rispetto del lavoro che stanno facendo le persone che mi hanno portata via di lì. Però posso dire ad esempio che io non vedo senza le lenti, senza gli occhiali e gli occhiali non me li hanno mai dati fino agli ultimi giorni perché sono pericolosi, puoi spaccare il vetro e usarli per tagliarti. Non ho potuto scrivere, non ho potuto avere una biro per lo stesso motivo, perché si può trasformare in un’arma. Però non mi hanno dato neanche le lenti a contatto. Io ho chiesto il Corano in inglese perché pensavo che fosse l’unico libro in inglese che potessero avere dentro una prigione di massima sicurezza della Repubblica Islamica. E non mi è stato dato per molti giorni. Ho detto che andava bene stare senza gli occhiali, potevo mettermi il libro molto molto vicino agli occhi e però per tanti giorni non è stato possibile. E per le condizioni, sì io dormivo, diciamo avevo delle coperte, non avevo cuscini…
MC – Da quello che abbiamo capito e che oggi sappiamo, sono venuti a prenderti in albergo. So che non puoi entrare nei dettagli, però se ci racconti qualcosa: che cosa è successo? Eri nella tua camera? Sono venuti a prenderti in camera?
CS – Stavo lavorando alla puntata di quel giorno che non è mai uscita, un giorno uscirà. E sì, mi hanno bussato alla porta. Io pensavo che fossero signore o signori delle pulizie. Ho detto che non avevo bisogno di nulla, che stavo lavorando e però sono stati insistenti. Ho aperto e non erano signori o signore delle pulizie.
MC – Che ti hanno portato via.
CS – Sì.
MC – E lì perché hai pensato di essere stata arrestata?
CS – Avevo letto la notizia poco prima del fatto che c’era stato un arresto in Italia e ho pensato tra le ipotesi che potesse essere quello il motivo, che potesse esserci l’intenzione di usarmi. L’ho pensato dal principio, ho preso in considerazione anche altre ipotesi però avevo chiara questa ipotesi e pensavo che fosse un uno scambio molto difficile.
MC – Tu sei finita a Evin, quel luogo che hai raccontato nel tuo libro che hai raccontato in tanti podcast. Avevi mai pensato nella tua vita che potesse accadere che tu venissi arrestata? Avevi mai preso in considerazione prima di tornare in Iran, il rischio di essere arrestata?
CS – Sì
MC – Avevi chiesto consiglio prima di partire per capire qual era il rischio?
CS – Sì per interpretare il mio visto. Però il nuovo governo del primo riformista – riformista è il nome del suo schieramento politico non è una mia diciamo valutazione – aveva obiettivamente aperto un pochino a dei giornalisti stranieri e stavano dando un po’ più di visti, è andata la CNN a Teheran di recente. Non è una cosa che capita tutti i giorni, è andata Paris Match quindi diciamo c’erano ottime possibilità che io facessi parte dei visti dati per via di questa apertura, questa piccola apertura nei confronti della possibilità dei giornalisti occidentali di ottenere un visto per l’Iran, cosa che era stata molto difficile negli ultimi due anni.
MC – Che cos’è la cosa che ti è mancata di più? Se devi dire una cosa a cui pensavi più spesso o qualcosa.
CS – Daniele, sa mettere insieme i miei pezzi in tutte le situazioni, anche adesso è così. Daniele e poi un libro finché non l’ho avuto.
MC – C’è qualcosa che vuoi fare adesso?
CS – La prima cosa che mi sono detta il primo giorno è che non avrei mai più passato una giornata intera in una stanza al computer, che non ci sarebbe stata più una giornata della mia vita in cui non sarei stata all’aria aperta almeno per un po’. E avevo molta voglia di andare al mare, anche se fa freddo. E poi c’è questa cosa che diciamo, che è il privilegio che noi abbiamo. Noi che abbiamo una casa sicura in un paese sicuro, no? Quando andiamo in Afghanistan, quando andiamo in Ucraina quando andiamo a Jenin, che possiamo andarcene, possiamo scegliere, possiamo tornare a casa e le persone che incontri lì non possono farlo. E questa è la prima volta che mi capita di perdere per un periodo, per tre settimane questo privilegio, la possibilità di scegliere, la possibilità di andartene, che le donne afghane non hanno, che i soldati ucraini chiamati al fronte non hanno. E questa cosa mi ha fatto sentire una responsabilità ancora in più…
MC – Quindi hai ancora voglia di continuare a raccontare.
CS – Certo tantissimo. Diciamo che mi serve…non ho dormito questa notte di gioia. Non ho dormito quella prima di angoscia. Sono sveglia da tre giorni e due notti di fila e quindi mi serve solo…mi serve rimettere insieme i pezzi. E non c’è nient’altro che mi piaccia fare più di questo. Quindi certo che non vedo l’ora.