
L’evoluzione della musica italiana, dal punk all’italo disco, all’ house, narrata attraverso l’incredibile storia dei Gaznevada, il più importante gruppo italiano punk e new wave, arriva al cinema il 24, 25 e 26 febbraio con il documentario Going Underground diretto da Lisa Bosi.
Gli invincibili guardiani della libertà del mondo, si raccontano senza censure, senza false retoriche, in un film che porta lo spettatore a navigare alla deriva della loro giovinezza. Un viaggio crudo e sincero nei loro ricordi “che vengono dalla nebbia”, in un documentario che abbandona la classica forma delle interviste.
La Bologna in cui vivono è la città del DAMS, di Umberto Eco, di Gianni Celati, di Andrea Pazienza. In questo fermento culturale nascono le etichette discografiche (una su tutte la “Italian Records”) che si occupano di musica alternativa. Il nuovo suono inglese e americano arriva in Italia e i Gaznevada realizzano il loro album più famoso, “Sick Soundtrack”, colonna sonora malata, al 42esimo posto tra gli album più importanti della musica italiana secondo Rolling Stone. Sullo sfondo un paese che passa dagli scontri di piazza, dall’impegno politico, all’edonismo puro. Poi arriva l’italo disco. Alcuni muoiono, altri si vendono. Il futuro è luccicante, ma feroce per chi non si sente a suo agio nei nuovi abiti.
Tra momenti di gioia esaltante, quando pensi di spaccare il mondo, e attimi di tristezza disperata, quando tutto sembra perduto, finiscono per diventare loro stessi un fumetto di Andrea Pazienza, lì con loro a disegnare nella Traumfabrik, la fabbrica di sogni nata in una casa occupata nel pieno centro di Bologna. La loro generazione è folle, geniale, misera e disperata, scrive lo scrittore Pier Vittorio Tondelli. Fabbricano sogni, dicono loro.
A quasi 50 anni dal ’77 bolognese, la memoria filtra il superfluo e ogni ipocrisia. E il famoso monologo tratto da “Pompeo” Pazienza che chiude il film, fa capire come siano vite come quelle dei Gaznevada che lasciano un segno profondo nella musica e nella società. Sono ancora oggi la nostra “colonna sonora malata”.